2012-06-04
Anna Oliverio Ferraris, Tv per un figlio, Laterza 2006, pp. 228, € 8.
Recensione di Federica Gramiccia
Quando ci si interroga sui problemi educativi della società di oggi non si può trascurare il rapporto bambini-tv, un rapporto ampiamente dibattuto negli anni, in cui la televisione è stata demonizzata come tv spazzatura, violenta, aggressiva, pornografica, oppure idealizzata come baby sitter, come dispensatrice di programmi intelligenti, come momento di evasione dopo lo stress della vita quotidiana. È facile pensare di potersi difendere da un elettrodomestico che parla, ma meno facile è vedere attraverso quali sottili meccanismi ci seduce e ci spinge verso una determinata moda o verso un certo gusto piuttosto che un altro. L'influenza che assume sugli adulti suscita domande anche sui bambini, che spesso si trovano ad avere come baby sitter proprio la tv. Il modo di guardarla dipende in primo luogo dalla figura del genitore. Le attenzioni dei genitori, infatti, insegnano e rafforzano la capacità di difendersi, proteggersi, prendersi cura di sé, ma anche di sperimentarsi attivamente. Un bambino, di suo, non conosce l'ironia e non ha la capacità di osservazione e analisi di un adulto, che dovrebbe aiutarlo a vedere il mondo con occhi propri, senza fermarsi alle apparenze.
La psicologa e psicoterapeuta Anna Oliverio Ferraris nel suo libro Tv per un figlio ci ricorda che il mezzo televisivo ha caratteristiche positive e negative a seconda dell'uso che se ne fa. I bambini rispetto agli adulti sono meno agguerriti e più influenzabili, dunque, per la direttrice della rivista degli psicologi italiani Psicologia Contemporanea sarebbe opportuno che alla elaborazione dei palinsesti per l'infanzia partecipassero rappresentanti dei genitori ed esperti in psicologia.
La scatola magica occupa uno spazio simile, quando non maggiore, a quello occupato da un componente della famiglia: in alcune case è la fonte principale di input verbali e di stimolazioni visive per il bambino e il suo impatto è certamente notevole anche se difficilmente quantificabile. Per la maggior parte dei bambini l'abitudine al teleschermo è precoce e, al pari di tutte le abitudini precoci, tende a radicarsi profondamente nella psiche individuale. Per molti di loro la televisione, più che un oggetto, rappresenta un amico con cui passare il tempo quando si è soli, annoiati o non si sa cosa fare, e poiché viene associata a tutte le sensazioni rassicuranti dell'ambiente domestico diventa, col trascorrere del tempo, una presenza di cui non si può fare a meno e su cui si avverte il bisogno di sintonizzarsi ad ore fisse.
Il primo passo di una strategia del contrattacco consiste nell'assumere una attitudine attiva: anziché abbandonarsi passivamente al flusso degli eventi e lasciandoci dirigere dall'esterno, possiamo decidere di autodirigerci valutando i messaggi che ci raggiungono, scegliendo quali programmi vedere e quali no, essendo quanto più è possibile protagonisti delle nostre esperienze. Superate le inevitabili resistenze iniziali, scopriremo come sia gratificante scegliere di leggere un libro, ascoltare della buona musica, fare una passeggiata, svolgere attività fisiche o anche semplicemente fantasticare, invece che guardare i soliti programmi, sentire le solite battute, vedere le solite facce...
La Ferraris, oltre ad essere autrice di saggi, di numerosi articoli scientifici e testi scolastici sullo sviluppo normale e patologico, sull'educazione, la famiglia, la scuola, la formazione, la comunicazione in contesti diversi, sul rapporto tv e nuovi media, sulle dinamiche identitarie nella società contemporanea, dal 1980 è professore ordinario di Psicologia dello sviluppo alla Sapienza ed è stata membro della Consulta Qualità della Rai e del Comitato Nazionale di Bioetica, quindi la sua voce in merito al tema affrontato è autorevole, soprattutto quando ci ricorda che l'azione di formazione dello spettatore deve iniziare già nell'infanzia. I bambini devono imparare a convivere con questo elettrodomestico senza stabilire con esso un rapporto di dipendenza, senza rinunciare all'"altra" realtà, quella dei giochi, delle letture, dei rapporti con i coetanei e della vita insieme ai familiari e agli amici. È importante, infatti, che essi non si abituino ad essere dei semplici fruitori passivi, ma che siano attivamente impegnati ad apprendere, valutare, progettare, realizzare.
Per la maggior parte dei bambini delle ultime generazioni guardare la televisione rappresenta una delle normali e ovvie attività quotidiane, come il mangiare, il dormire, il giocare, l'andare a scuola. Per alcuni di loro, i cosiddetti teledipendenti, le ore trascorse nell'arco della settimana di fronte alla tv sono più numerose di quelle trascorse sui banchi di scuola. E come potrebbe essere altrimenti dal momento che a casa loro la tv è quasi sempre accesa? Quando si svegliano o rientrano a casa gli adulti l'accendono meccanicamente, proprio come si fa con l'interruttore della luce quando si entra in una stanza buia. La luce intermittente e il rumore di sottofondo del televisore sono una tale abitudine che spesso ci si dimentica di spegnerlo anche quando gli adulti escono di casa.
Se si paragona il modo di vivere di un bambino di quarant'anni fa con quello di un bambino di oggi ci si rende immediatamente conto di quanto la scatola magica abbia modificato i ritmi di vita. Allora i bambini trascorrevano molto del loro tempo all'aperto impegnati in giochi di movimento e di gruppo. Esisteva una trasmissione culturale del gioco da bambino a bambino, cosicché tutta una serie di apprendimenti avveniva spontaneamente, per empatia, osservando i più grandi e incoraggiandosi a vicenda a calarsi nell'azione. Oggi è diventato più difficile per i bambini trovare dei compagni che siano disponibili al gioco: quelli liberi da impegni come le lezioni di ginnastica piuttosto che di musica, anziché trattenersi con gli amici all'uscita di scuola, corrono a casa per vedere il seguito di un qualche programma televisivo a puntate o un cartone animato cui sono affezionati: la loro giornata è scandita dal menu televisivo quotidiano.
Un'altra questione di fondamentale importanza riguarda i programmi per bambini imperniati di scene di violenza. Secondo una stima di massima, prima di aver terminato la scuola elementare un bambino vede in media in televisione 8.000 omicidi e 100.000 atti di violenza. La domanda che tutti si pongono è se il vedere simili spettacoli influisca sulle attitudini, i comportamenti e le opinioni dei bambini, e in che misura. Se lasciati a loro stessi, alcuni bambini e adolescenti tendono ad imitare le azioni violente o il linguaggio brutale che vedono e che sentono in tv, anche perché a queste azioni partecipano, e di questo linguaggio fanno uso, personaggi che essi e i loro coetanei ammirano.
Secondo la Ferraris bisognerebbe attivare il teleschermo soltanto per programmi o dvd selezionati in precedenza, scoraggiando la tendenza a restare sintonizzati sullo stesso canale a seguire passivamente qualsiasi trasmissione perché con i bambini si deve puntare ad una gestione personalizzata del mezzo televisivo. Serve un controllo, diretto e puntuale, da parte dei cittadini, dei genitori, degli esperti in psicologia infantile. Sarebbe opportuno che alla elaborazione dei palinsesti per l'infanzia partecipassero non soltanto i lavoratori della televisione e gli esperti in tecniche di comunicazione di massa, ma anche rappresentanti dei genitori, esperti in psicologia dell'età evolutiva e nei vari campi dell'arte e della scienza, che potrebbero costituirsi in un comitato o in un osservatorio.
E nel frattempo bisogna insegnare ai bambini a diventare padroni del mezzo, a non subirlo, a gestirlo, per impedire che la nota definizione del filosofo austriaco Karl Popper cattiva maestra televisione non diventi reale nelle nostre case e per i nostri figli; dovremmo piuttosto ricordarci che Gesù, il maestro buono, ha sempre avuto uno sguardo speciale per i piccoli fanciulli e che ce li ha affidati come un dono prezioso del quale prenderci cura con grande responsabilità.
Recensione di Federica Gramiccia , DiRS GBU