«Molti aspetti delle credenze e dei comportamenti religiosi possono essere interpretati in maniera utile e significativa anche in termini di dinamiche d’attaccamento» (Kirkpatrick). Di Maria Beatrice Toro, psicologa e psicoterapeuta.
Uccr - Il presente contributo rappresenta l’ideale continuazione del lavoro svolto in precedenza e pubblicato sul sito UCCR, a proposito del legame tra religiosità e benessere psichico, intendendo approfondire le dinamiche interiori che si attivano nell’esperienza di Dio. In particolare, ciò che mi accingo a illustrare è una possibile chiave di lettura della relazione tra l’uomo e Dio alla luce delle teorie elaborate in merito al legame di attaccamento tra il bambino e il suo caregiver, ovvero la persona (o le persone) che lo accudiscono, rispondendo, come oggi si sa, ai suoi bisogni relazionali prima ancora che a quelli alimentari (come aveva, diversamente, teorizzato Freud, immaginando che le prime pulsioni del bambino fossero indirizzate verso il soddisfacimento del bisogno orale-alimentare).
Con il termine “attaccamento”, Bowlby vuole indicare ( (Bowlby, J., “Una base sicura”, Raffaello Cortina, Milano 1988) il primo legame affettivo, intimo, duraturo, estremamente significativo dal punto di vista emotivo, che si stabilisce fin dalla nascita tra un bambino e una figura di riferimento, madre, padre, surrogato, che si prende cura di lui, lo protegge e lo sostiene nei tentativi di esplorazione dell’ambiente circostante. Questo legame garantisce al piccolo la sopravvivenza dal punto di vista fisico e psicologico e gli consente di adattarsi all’ambiente sociale che lo circonda. Il legame di attaccamento si basa su una serie di comportamenti messi in atto da entrambi i componenti della relazione: sorrisi, vocalizzi, pianti e rispettive reazioni del caregiver, compresi avvicinamenti e allontanamenti. Tutti i bambini nei primi anni della loro vita costruiscono questo legame verso le figure genitoriali, inclusi i bambini vittime di maltrattamenti o abusi. Non tutti, però, lo stabiliscono nella dimensione della sicurezza, infatti la qualità del legame dipenderà dalla tipologia degli scambi interattivi tra genitore e bambino. La relazione che scaturisce dal legame di attaccamento, sia esso sicuro o insicuro, una volta interiorizzata, verrà utilizzata anche come modello di riferimento da attuare in tutte le relazioni intime che verranno a crearsi nelle successive fasi evolutive. Tali modelli operativi interni, per attenerci sempre al gergo utilizzato da Bowlby, subiscono l’influenza degli eventi che si susseguono nel corso della vita per cui con lo sviluppo, verso il raggiungimento della fase adulta, tali modelli relazionali vengono riproposti nei rapporti con i pari, con il partner, verso il proprio figlio qualora si scegliesse di diventare genitore ma anche nella relazione di amore con Dio.
Uno dei primi studiosi che ha applicato la teoria dell’attaccamento al vissuto di fede religiosa è Lee A. Kirkpatrick. Lo psicologo americano ritiene che l’applicazione del modello d’attaccamento alla fede religiosa per certi versi appare “più chiara rispetto a quella delle relazioni di coppia” anzi «sotto molti aspetti la fede religiosa può fornire una visione unica dei processi di attaccamento nell’età adulta» (Kirkpatrick, L., A., “Attaccamento e rappresentazioni e comportamenti religiosi”, In Cassidy, J., Shaver, P.R. (Eds.). Manuale dell’attaccamento, Fioriti, Roma, 1999). L’elemento centrale del pensiero di Kirkpatrick è l’idea che Dio sia percepito come figura d’attaccamento, per cui il credente percepisce di vivere una personale esperienza di relazione caratterizzata dagli elementi della vicinanza e della sicurezza, che subiscono diverse sorti nella storia personale del singolo.
La fede è dunque – dal punto di vista psicologico – un’esperienza di relazione: in essa il credente si abbandona completamente e con fiducia ad un Altro diverso da sé, Dio. L’esperienza di fede, quindi, è preparata dalla profonda esperienza emotiva e affettiva del sentirsi amati, accettati e accolti (Diana, M., “Dio e il bambino. Psicologia ed educazione religiosa”, Elledici, Leumann, Torino, 2007), oppure del sentirsi nell’insicurezza e nel pericolo, alla ricerca di una cura. Un elemento cardine della fede cristiana consiste nella certezza che Dio è amore: questo è proprio il sentimento che si pone a fondamento del rapporto duale Dio-uomo fintanto che, spesso, la conversione è stata paragonata all’esperienza dell’innamoramento. L’intima relazione tra l’uomo e Dio, dal punto di vista psicologico, può esser letta come legame di attaccamento, caratterizzato da quattro elementi specifici (Kirkpatrick, L. A., op. cit.):
1) La ricerca e il mantenimento della prossimità a Dio. Esistono diverse modalità per sentire la vicinanza a Dio, un esempio consiste nel credere all’onnipresenza e ritenersi pertanto sempre in prossimità rispetto a Dio, o, ancora, il fedele si reca nei “luoghi di culto sacri”, per esperire una forte vicinanza al Signore. La massima espressione della prossimità consiste nella preghiera contemplativa e meditativa; attraverso la preghiera il credente si percepisce vicino al suo Dio poiché può instaurare un silenzioso ma intenso dialogo mediante cui stabilire un contatto diretto.
2) Dio come rifugio sicuro. La religione sembra essere un appiglio di fondamentale importanza nei momenti di maggiore difficoltà che la vita ci chiama ad affrontare, questi vengono vissuti come elementi stressogeni da un punto di vista fisico e psichico. Basti pensare a condizioni in cui si vive una malattia grave, una situazione avversa o ancora peggio la perdita improvvisa o meno di un proprio caro. In tali situazioni Dio viene vissuto come un rifugio immateriale, come colui che può offrire sostegno.
3) Dio come base sicura. Il concetto di “base sicura” è un caposaldo della teoria dell’attaccamento, in ambito religioso si ritiene che ogni fedele percepisce la figura divina come un entità onniessente, disponibile, in grado di comprendere anche l’incomprensibile. La si potrebbe definire come la base sicura ideale, dal momento che, a differenza dei genitori spesso impegnati nel lavoro o in altro, Dio si può invocare in ogni momento, anche il più intimo, anche il più tragico, per ricevere la forza di cui necessitiamo in quel particolare frangente della nostra esistenza.
4) Reazioni alla separazione o alla perdita. «la separazione da Dio è la vera essenza dell’inferno» (Kirkpatrick, L., A., op. cit.). Il processo di attaccamento è riscontrabile anche nelle reazioni alla separazione o alla perdita della figura d’attaccamento; la perdita della fede si può vivere, in una prospettiva psicologica, analogamente alla fine di relazioni interpersonali importanti.
Conclusioni.
Le teorie oggi prevalenti in psicologia ci insegnano a considerare che il primo bisogno umano sia la relazione, piuttosto che l’oralità. Nella relazione si costruiscono identità, percezione dell’altro, ponendo le basi per il proprio modo di vivere e dare significato alla vita. Alla luce di tali considerazioni viene da chiedersi cosa riserverà il futuro a coloro che durante l’infanzia non hanno avuto modo di saggiare un legame basato sulla fiducia. I bambini che hanno sviluppato un legame di attaccamento insicuro verso i propri genitori, crescendo, potranno fare riferimento alla relazione tessuta con il partner, con un amico o con una figura formativa rilevante quale un educatore, un insegnante, un sacerdote. Questo ripiegamento emotivo consentirà di modificare la struttura del proprio modello insicuro finora interiorizzata per dirigersi verso la sicurezza. Questi stessi bambini potranno, quale opzione di crescita, rivolgersi a Dio, come figura in grado di colmare le lacune vissute. Quanto costruito in passato si potrà mettere in discussione ed essere oggetto di una profonda trasformazione, attraverso una nuova relazione d’amore, duratura nel tempo e caratterizzata da sicurezza, accoglienza, reciprocità.
Si ringrazia la Dott.ssa Claudia Romani per il confronto sul tema oggetto del presente articolo.