La voce di Tillich contro Hitler

Stimato da Thomas Mann per la sua avversione al nazismo, studiato da Martin Luther King per la sua attenzione al trascendente e al mistero cristiano e per il suo “socialismo religioso”, ma in particolare un pensatore capace di stare sul confine dei saperi tra teologia, filosofia e psicologia e di presentarsi quasi sempre come il vero contraltare del pensiero di Karl Barth e del suo “Dio inaccessibile”.

In queste poche righe si condensa la cifra accademica del teologo protestante tedesco Paul Tillich (1886-1965) – di cui domani ricorrono i 50 anni della morte. Un pensatore che ha segnato la storia della teologia della seconda metà del Novecento sia in ambito cattolico sia in quello protestante; basti pensare alle sue opere più famose come Il futuro delle religioni o L’irrilevanza, La rilevanza del messaggio cristiano per l’umanità di oggi, il suo capolavoro Teologia sistematica o ancora il suo scritto autobiografico più significativo Sulla linea di confine.
 

Cappellano militare durante la prima guerra mondiale, discepolo dell’idealismo tedesco e del filosofo Schelling, Tillich diventerà da subito una delle voci più critiche in Germania contro l’avvento del nascente nazismo e della sua ideologia pagana. A causa della sua critica al regime di Hitler – in particolare dopo la pubblicazione del saggio La decisione socialista – verrà privato della cattedra all’università di Francoforte e dal 1933 comincerà il suo esilio dalla Germania: sarà costretto a riparare negli Stati Uniti, dove opererà fino alla morte nelle università di Columbia, Harvard e Chicago.
E propria sulla sua ferma critica al nazismo e al suo paganesimo si sofferma il pastore valdese Paolo Ricca: «Il suo fu un gesto coraggioso soprattutto perché egli faceva parte del movimento dei “socialisti e religiosi”, che avevano come modelli di riferimento i pastori protestanti svizzeri Leonhard Ragaz ed Hermann Kutter.

Con il suo esilio Tillich non prese parte attiva alla lotta della “Chiesa confessante” che si oppose al regime: tutta la leadership finì nei campi di concentramento. Forse anche per questa sua scelta di vivere oltreoceano, anche dopo la guerra, la sua influenza sulla teologia protestante è stata meno incisiva in Europa rispetto a quella di Bonhoeffer, Karl Barth e Rudolph Bultmann. Egli è molto più conosciuto in America che nel Vecchio Continente. Io stesso ho scoperto la sua grandezza negli anni della mia maturità accademica e per una mia iniziativa personale».

Il filosofo e monaco benedettino tedesco Elmar Salmann intravede in questo «pensatore kairologico», imbevuto del pensiero di «Schelling, dell’idealismo tedesco e della teologia liberale di Ernest Troeltsch» il punto di maggiore novità della sua indagine sull’esistenzialismo e sulla società. «Parte dell’unicità di questo intellettuale – rivela Salmann – è rappresentata da vari fattori: è uno studioso che sta sulla soglia, accompagna i passaggi della storia fra teologia e filosofia. È molto vicino alle riforme sociali fatte in Germania negli anni Venti del Novecento. Forse tutto questo spiega perché Theodor Adorno decide di fare la sua tesi universitaria su Kierkegaard diretta dal professor Tillich».

Padre Salmann, alla luce anche di questo anniversario, scorge dei punti di incontro tra la teologia tillichiana e quella di Barth. «Pur così diversi nella loro impostazione metodologica – osserva – vi è in entrambi una forte vena socialista e socialdemocratica. C’è, a mio giudizio, un’affinità elettiva nascosta: basti rileggere la loro interpretazione della crisi sociale della Germania dopo la prima guerra mondiale. In Tillich ha avuto il sopravvento la vena liberale, fenomenologica, pneumatologica mentre in Barth quella cristologica che riporta il tutto alla Rivelazione divina. Pur da angolature diverse entrambi propongono un percorso di realizzazione del cristianesimo nella realtà e nella complessità della vita umana e sociale».

La sua attenzione agli interrogativi ultimi come il suo varco di ricerca verso la psicanalisi e il mistero del trascendente o ancora l’attualità di un testo tillichiano come Il coraggio di esistere (The courage to be). Sono alcuni degli aspetti del teologo esistenzialista tedesco che da sempre hanno affascinato di più Eugenia Scabini, docente di Psicologia sociale della famiglia alla Cattolica di Milano e autrice, tra l’altro, nel 1967, di un saggio Il pensiero di Paul Tillich: «In lui è fortissima questa istanza di porsi gli interrogativi ultimi, di andare all’essenziale delle questioni ultime. E in fondo molto di questo metodo e terminologia verrà ripreso anni dopo, con una sua lettura originale, dalla sociologa Margaret Archer».

La Scabini, rileggendo l’attualità di Tillich si sofferma sulla sua interpretazione del concetto di "ansia". «Proprio perché è un esistenzialista e un protestante puro fa i conti con Freud, rilegge in chiave moderna questo stato d’animo, non dimenticando la condizione antropologica e psicologica. Una condizione l’ansia reinterpretata da Tillich che supera un certo riduzionismo psicologico e fa affiorare uno stato d’animo comune e tipico di molti esseri umani». E rileva un particolare: «A mio giudizio parte della sua eredità maggiore sta nel suo saggio Il coraggio di esistere dove descrive un atto, in fondo, che porta alla fede, un Dio che ci accetta e ci giustifica nonostante l’angoscia della colpa e della condanna. Come sicuramente originale è la sua interpretazione del concetto di limite e di confine, quello che lui chiama in tedesco grenzen. In quella metafora di stare sul confine si può essere aperti a qualcos’altro anche perché solo chi è sul bordo può guardare avanti e indietro. Ed è quindi una condizione privilegiata».

Un’eredità dunque ancora attuale e da approfondire secondo il teologo valdese Paolo Ricca: «Il centro della sua ricerca teologica è la correlazione tra messaggio cristiano e condizione umana. Se si prende in mano l’indice della sua opera più famosa Teologia sistematica si scopre tutto questo. La grandezza di Tillich – è la considerazione finale – è quella di collocarsi sul confine tra realtà e fantasia, tra teoria e prassi, tra Chiesa e società. Questa posizione di confine implica e obbliga Tillich a un ripensamento abbastanza radicale del linguaggio della fede. Basti pensare al concetto di peccato riletto nei termini di alienazione da se stessi, dal prossimo (che diventa un estraneo), da Dio rispetto al quale non si riesce più a instaurare un dialogo con Lui. C’è in tutto questo un profondo rinnovamento del linguaggio della fede ed emergono così gli aspetti più promettenti, a mio giudizio, della sua teologia».

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