“Potremmo definire il nostro lavoro quasi come una ‘psicologia d’urgenza’, in cui la priorità non è scoprire i rapporti coi genitori del nostro assistito, ma interrompere la violenza. Il prima possibile”. È un vero mestiere ‘sul campo’ quello descritto da Nicola Corazzari, psicoterapeuta del Gruppo di ascolto Uomini Maltrattanti, uno di quei lavori in cui tutti i concetti e le lezioni imparate sui testi universitari si incontrano – e spesso si scontrano – con la dura e drammatica realtà dei fatti quotidiani. Corazzari gestisce assieme ad altri psicologi e counselor il nuovo centro Ausl per aiutare gli uomini che sfogano la propria rabbia e violenza all’interno della famiglia. Un problema sempre più sentito in Italia, ma che non è ancora stato affrontato coi giusti mezzi: “Fino ad oggi – spiega lo psicoterapeuta – i servizi di tutela si sono occupati prevalentemente della protezione delle donne e dei bambini, ma è sempre mancata la parte di aiuto all’uomo che fa violenza. Abbiamo cercato di colmare questo vuoto”.
Il tutto è nato con un primo centro di ascolto a Modena convenzionato con l’Asl, nel novembre del2011, e visti i risultati positivi il progetto è stato esteso anche a Ferrara (la sede è alla base del Grattacielo, ma è presente anche un gruppo su Facebook), dove nelle cronache cittadine non sono di certo mancati casi di violenza familiare, anche se la maggior parte resta confinata tra le mura di casa. “La violenza domestica è un problema che si sente in tutte le realtà – spiega Corazzari -, ma è ancora abbastanza un tabù per gli uomini. Per molti dare uno schiaffo sporadico alla donna non è considerato violenza. Ed è preoccupante che questo succeda spesso di fronte ai figli: è più facile che chi assiste a questo diventi a sua volta un uomo in grado di usare violenza”. Lo psicologo è molto attento ai termini, e nel corso della conversazione non usa mai il termine ‘uomo violento’. “Nessuno si riconosce nell’uomo violento, ma piuttosto in un uomo che fa violenza, che può essere una persona qualunque, senza distinzioni di classe o altro”.
Un discorso che si applica spesso ai vari generi di dipendenza. Perchè è proprio in un’ottica di questo genere che bisogna guardare la violenza domestica e riuscire a ricondurre le persone alla propria responsabilità. E uno dei passaggi più difficili è proprio quello del riuscire a riconoscere i propri errori. “La violenza – continua Corazzari – è funzionale alla mente dell’uomo. È connessa al bisogno di potere in una relazione, che si basa sull’idea di maschio tramandata dalla società e dalla famiglia: un retaggio della società patriarcale che viene poi confermato dal sistema in cui viviamo. Quindi non esistono raptus, atti incontrollati o mostri. Esistono uomini che fanno violenza basandosi sui modelli di relazione costruiti nella loro vita”. Un discorso teorico, ma il cui corollario diventa il concetto chiave dell’intero progetto: “Perchè dal momento che possiamo capire e controllare la nostra violenza, ogni uomo è responsabile delle proprie azioni”.
Un appello alla coscienza individuale che deve essere più forte di ogni possibile alibi sociale, culturale o religioso. Fattori a cui comunque Corazzari riconosce un certo peso nell’incidenza attuale del problema, a partire dagli effetti della crisi economica. “Alla base della violenza di genere – afferma lo psicologo – c’è anche l’idea che l’uomo ha del proprio ruolo, che gli impedisce di manifestare emozioni come la paura e l’insicurezza e in cui deve avere un lavoro per mantenere la famiglia. La disoccupazione è un fattore stressante, che mette in crisi non solo l’economia della famiglia ma anche l’identità del maschio. E il suo senso di impotenza si può trasformare in aggressività verso gli altri o se stessi. Per questo stiamo pensando di istituire gruppi di ascolto specifici con uomini disoccupati”.
Anche la religione può in qualche modo “legittimare” la violenza, anche per le sue conseguenze sulla psicologia femminile: “In molte tradizioni religiose – continua Corazzari – è richiesto alla sposa di sopportare condizioni di sofferenza che l’uomo può portare nella coppia. E una donna spesso può cadere nella ‘trappola’ di voler curare il proprio uomo, perchè gli uomini che usano violenza stanno molto male nei giorni successivi, le mogli si dimenticano di quanto accaduto e li vedono solo come persone che soffrono”. Zero alibi invece per chi attribuisce i propri sfoghi di rabbia alla droga o all’alcol: “L’uomo – afferma lo psicologo – è responsabile di quello che fa. L’alcol è semplicemente un amplificatore di qualcosa che è già nella sua mente, ma dietro ogni azione c’è sempre un’intenzione. E, nel caso della violenza, è quella di recuperare autorità quando ci si sente impotenti”.