Riunirà educatori, neuropsichiatri infantili, psicologi, docenti della Scuola in ospedale, il convegno «Studenti invisibili» che si terrà alla Certosa del Gruppo Abele, ad Avigliana, giovedì e venerdì della prossima settimana. Invitato a partecipare, anzi «caldamente» invitato, è il mondo della scuola, ancora impreparato a cogliere i segnali del disagio mentale in adolescenza, condizione che ha la sua manifestazione estrema nei tentativi di suicidio, nei disturbi alimentari, ma che in tutte le sue sfumature di intensità significa sofferenza profonda. Non importa se all’origine c’è senso di inadeguatezza, fragilità, mancanza di punti di riferimento o scelte sbagliate.
I dati più toccanti, quelli sui ricoveri di 14-17enni all’Ospedale Regina Margherita per tentato suicidio, sono stati illustrati lunedì alla presentazione del convegno: passati da 5 a 20 all’anno in 5 anni. Numeri - solo la punta dell’iceberg - che chiedono alla scuola, in un tempo in cui spesso la famiglia è evanescente, un’attenzione che non può limitarsi alla didattica. «Il rischio per questi ragazzi è che siano “invisibili” fuori e spesso anche dentro la scuola», ha osservato alla presentazione del convegno Andrea Piazza, preside dell’Itc Carlo Levi, istituto responsabile della sezione superiore della Scuola in ospedale. Piazza ha sottolineato l’importanza del collegamento tra docenti ospedalieri, neuropsichiatri infantili e scuola di origine. «Anche la scuola partecipa alla cura».
Riccardo Gallarà, preside del liceo Alfieri, ha proposto una riflessione: «Il liceo classico è impegnativo, ci sono studenti sotto stress anche per le aspettative dei genitori. E gli insegnanti, al ritorno dei ragazzi, dopo le cure, troppo spesso pensano ancora soprattutto ai voti... Ma questi ragazzi ce la fanno solo se intorno hanno una rete di cui fanno parte medici e docenti».
Testimonianza toccante anche quella di Stefania Sagramora del professionale Birago: «Ogni anno per disagio mentale noi perdiamo 5-6 studenti del biennio. Sono ragazzi che non hanno i libri, che sono figli di immigrati, di famiglie colpite dalla precarietà del lavoro. La disabilità certificata ha qualche garanzia, ma gli “invisibili”? Si dovrebbe ricordare che il disagio è anche questione di censo». Parole confortanti sono venute dalle dirigenti dei licei delle Scienze Umane, scuole considerate «amiche» da medici e famiglie. «Abbiamo studentesse con disturbi alimentari - ha detto Paola Gasco del Berti -, che hanno compiuto atti di autolesionismo, in crisi per la scelta sbagliata della scuola, indotta dai genitori. Alcuni nostri docenti hanno fatto formazione. L’obiettivo è identificare i disturbi prima che esplodano».
Maria Torelli del Regina Margherita: «Le nostre scuole ricevono parecchi ragazzi che in prima battuta si iscrivono ai licei classici». Per Bruna Trucchi, preside che per 15 anni ha curato il progetto «Provaci ancora Sam», «la scuola manca totalmente di formazione psicologica e sociologica. Gli insegnanti si formano sulle discipline e basta. Così, succede che chiamiamo “pelandrone” chi invece è vittima di una fobia. E combiniamo disastri». «Bisogna saper vedere “dentro” i ragazzi», ha suggerito il dottor Marco Rolando, responsabile della Neuropsichiatria infantile dell’Asl To3. Il convegno della prossima settimana è un’occasione per imparare a farlo.