Il disturbo da Deficit di Attenzione

L’Associazione di Psicologia Cognitiva definisce il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività come uno dei più comuni disturbi neurocomportamentali, e l’Associazione Italiana Disturbi di Attenzione e Iperattività aggiunge che si tratta di un disturbo evolutivo dell’autocontrollo. Entrambe le definizioni suggeriscono un quadro di difficoltà nel controllo degli impulsi, nella capacità di concentrazione, nel livello di attività molto alto. Sono questi infatti i sintomi di un disturbo che si manifesta già dalla prima infanzia, e che rappresenta una condizione potenzialmente cronica, la quale, se non trattata adeguatamente, può comportare difficoltà nella vita di tutti i giorni, non solo del bimbo ma anche di chi gli sta intorno.

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Siglato co DDAI in italiano o ADHD dall’inglese, il Disturbo da Deficit di Attenzione si manifesta con sintomi visibili e spesso identificabili nel confronto fra coetanei: i bimbi affetti da DDAI presentano evidenti difficoltà a rimanere attenti o lavorare sullo tesso compito per un periodo di tempo prolungato; sono disorganizzati, sbadati, non danno ascolto alle informazioni fornite dagli adulti; si lasciano distrarre molto facilmente, anche da rumori occasionali, interrompono azioni e discorsi per un nonnulla. A scuola o all’asilo appaiono disorientati e passano da un’attività all’altra senza completarne mai alcuna, cosa che non accade solo con attività che possono essere impegnative (come i compiti per casa), ma anche con semplici giochi, o mentre guarda un cartone animato: ogni azione ripetitiva è potenzialmente noiosa. Per questi bambini, sempre secondo il quadro che stila l’Associazione di Psicologia Cognitiva, il gioco è rumoroso e confusionario; le conversazioni degli adulti vengono interrotte senza che riescano ad aspettare il momento opportuno per parlare; sono bambini che appaiono sempre sul punto di partire, di muoversi, che non riescono in nessun contesto ad aspettare il proprio turno o rispettare una consegna, né tantomeno stare seduti o composti quando è necessario; spesso sembra che non capiscano nemmeno bene il compito che gli viene richiesto.

Agitazione, impulsività, iperattività: i bambini con disturbo dell’attenzione hanno evidenti difficoltà ad inibire i comportamenti inappropriati. Studi epidemiologici indicano che il 3-7% dei bambini in età scolare e il 4-5% degli adolescenti e dei giovani adulti, rientra nei criteri del disturbo da deficit di attenzione stabiliti nel DSM-IV-TR con una proporzione che va da 2:1 a 9:1 tra maschi e femmine (fonte) Se non trattato, il disordine espone al rischio di future condotte antisociali, abuso di sostanze, difficoltà affettive, interpersonali ed educative.

Secondo l’APC, i trattamenti devono essere di tipo cognitivo-comportamentale uniti alla somministrazione di stimolanti, anche se rimangono dei dubbi sugli effetti di questi ultimi, soprattutto è difficile per gli specialisti comprendere perché il 20-30% dei soggetti trattati farmacologicamente non risponda positivamente. A ciò occorre aggiungere gli effetti collaterali (insonnia, cefalea, anoressia, disturbi gastrointestinali) legati all’assunzione di farmaci. Per quanto riguarda gli interventi educativi, comportamentali e psicologici, esistono protocolli terapeutici indirizzati alle aree che appaiono compromesse, ovvero quella cognitiva, emotivo-affettiva, relazionale. Le procedure di intervento tengono conto delle difficoltà del bambino, delle contingenze, della situazione familiare, ma in generale sono programmi di natura comportamentista, procedure che stimolano la capacità di risolvere i problemi, di gestione dello stess, di controllo delle emozioni, si autoistruzione. Inoltre, uno dei frangenti di intervento è mirato all’aiutare il genitore a focalizzare i propri sentimenti/atteggiamenti e le risposte da dare al bambino: è comune infatti che i genitori interpretino erroneamente i comportamenti del bambino, e vivano con frustrazione quella che in apparenza sembra ‘maleducazione’ e di conseguenza vivano la situazione come un proprio fallimento. In ogni caso, è indispensabile rivolgersi a specialisti, oppure chiedere consigli su dove indirizzarsi ad associazioni specializzate, come AIDAI, Associazione Italiana Disturbi Attenzione e Iperattività, che può fornire indicazioni sul percorso da seguire. 

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