Quando avevo 15 anni, ogni tanto mi prendeva la paura che a donare troppo di me e del mio tempo (ad esempio nel volontariato, o nei piccoli favori che gli altri mi chiedevano) avrei finito per perdere me stessa. Ora, a qualche (ahimè!) decennio di distanza, posso testimoniare che così non è stato e che, anzi, proprio mettendomi in gioco per gli altri – e con gli altri – ho scoperto capacità e aspetti di me che non pensavo di avere.
In quale modo e in quale misura il dono di sé, il non pensare a sé stessi, l’andare verso gli altri, contribuisce alla costruzione di un’identità matura e completa? Ho avuto l’occasione di parlarne con Pietro Cavaleri, psicologo dirigente dell’Ausl2 di Caltanissetta e membro di Psicologia e Comunione.
Perché parlare di dono di sé, in psicologia?
«Per donare devo conoscere – e quindi riconoscere – la persona a cui dono. Non può esserci dono se non c’è capacità di vedere l’altro, di riconoscerlo. Tuttavia, finora la psicologia era legata a una visione dell’uomo per cui realizzare sé stesso significava affermare la propria identità a prescindere dagli altri. La comunità stessa degli psicologi e degli psicoterapeuti riconosce ora che è necessaria un’altra visione, un’altra antropologia, basata sul fatto che non abbiamo bisogno di “possedere” l’altro per esprimere noi stessi, ma piuttosto abbiamo bisogno di riconoscerlo e di venir da lui riconosciuti. Ecco, riconoscere l’altro è già donare: donare attenzione, donare rispetto... Si può andare oltre, si può donare sé stessi, ed è il territorio di riflessione e ricerca sul quale la psicologia può cominciare a muoversi.
«Per quanto riguarda la nostra riflessione (di Psicologia e Comunione, n.d.r.), è stata un’intuizione di Chiara Lubich a stimolarla: per lei non basta riconoscere l’altro, questo è un primo passo, ma è necessario donarsi all’altro. Donandomi all’altro costruisco la mia identità».
Spesso il dono non è fine a sé stesso, ma ha degli scopi. Chi dona si aspetta di ricevere a sua volta qualcosa, l’altruismo nasconde altri bisogni della persona e in questo periodo di crisi generalizzata pensare a un dono gratuito di sé sembra ancora più difficile.
«È proprio per affrontare la crisi che stiamo vivendo, che diventa ancora più importante imparare a donare. La cultura moderna è per certi versi il culmine dell’affermazione individualistica, a prescindere dalla capacità di dare: prevalgono gli interessi particolari, si vive un senso di non appartenenza, siamo come tante isole. Sta diventando sempre più chiaro che la convivenza tra gli uomini è possibile solo rilanciando una cultura del dono, del riconoscimento reciproco. L’umanità può essere famiglia se riscopre il dono gratuito, a partire dal riconoscimento dei bisogni dell’altro e delle sue diversità. Dobbiamo trasformare le nostre differenze in spazi per l’altro: così l’altro si sente accolto e la relazione comincia a diventare autentica».
Talvolta però, nonostante si cerchi di accoglierlo, l’altro non ricambia o persino rifiuta la mia offerta.
«Proprio qui può esprimersi pienamente la realtà del dono, la sua gratuità: quando l’altro non ci riconosce e non ci accoglie. È una misura di amore che permette di comprendere realmente il dono, andando oltre la quantificazione monetaria, il baratto, lo scambio. È il modello che Chiara Lubich propone in Gesù sulla croce, e può risultare fertile per la psicologia che è stata capace di mettere a fuoco la dimensione fondativa del riconoscimento ma non ha messo in relazione l’esperienza del dono, e il riconoscimento dell’altro, nella costituzione dell’identità personale».
Non solo donare sé stessi, la propria disponibilità, il tempo, le capacità, ma pure farlo quando costa, quando non avremo ricompensa, quando l’altro non apprezza o non se ne accorge. Donare me stesso perché così ho scelto, e ritrovarmi più aperto, più completo, più libero. Più me stesso. Un affascinante paradosso, da provare.
Cos’è Psicologia e Comunione
Nel 1999 Chiara Lubich riceve la laurea honoris causa in Lettere e Psicologia dall’università di Malta. È in quell’occasione che cominciano a incontrarsi psicologi, psichiatri, operatori della salute mentale e studiosi delle discipline psicologiche aderenti al carisma dell’unità, coinvolgendo negli anni anche colleghi, al di là dell’appartenenza al Movimento dei focolari. Il confronto aperto è continuato fruttuosamente negli anni, aprendo a nuove prospettive sul benessere delle persone.
Dal 4 al 6 maggio prossimi si terrà il terzo Congresso internazionale, a Castelgandolfo (Roma).
Per informazioni: http://www.psy-com.org/