La stupidità umana non ha confini, diceva a suo tempo Albert Einstein. L’esperienza quotidiana ci spinge a dargli ragione, visto che sono rarissimi i giorni in cui non perdiamo le staffe a causa del comportamento assurdo degli altri, amici, parenti o sconosciuti. Eppure, anche la stupidità può diventare materia di studio. In un certo senso, l’intelligenza la trova “interessante”.
Balazs Aczel, un professore dell’Istituto di Psicologia presso la Eotvos Lorand University di Budapest, ha voluto approfondire le dinamiche della stupidità. Dopo tutto, si tratta di un ambito ancora inespolorato. Aczel, insieme a Bence Palfi and Zoltan Kekecs, ricercatori in psicologia della sua università, ha raccolto 180 storie da siti di attualità, blog, forum e da altre fonti pubblicamente consultabili, in cui vengono raccontate vicende contenenti elementi definibili come “stupidi”. Queste storie sono poi state sottoposte alla lettura di più di 150 persone, a cui è stato chiesto di compilare un questionario, con domande del tipo: «Descriveresti questa particolare azione come stupida?», e ancora: «In una scala da uno a dieci, quanto è stata stupida?». I partecipanti dovevano anche spiegare perché pensavano che l’azione in questione fosse stupida, scegliendo tra diverse opzioni di risposta.
I ricercatori hanno scoperto che le persone tendono a concordare riguardo a ciò che è stupido e ciò che non lo è. La percentuale di accordo ha raggiunto addirittura il 90 percento. Gli studiosi hanno inoltre notato che ci sono tre situazioni per cui di solito si usa la parola “stupido”. All’interno di tali situazioni si svilupperebbero infatti dei comportamenti che non collimano con la logica comune – e nemmeno con il buon senso.
Il primo scenario è quello che vede coinvolte persone che nutrono una stima eccessiva nei propri riguardi. Accade quando l’opinione che un individuo si forma sulle sue abilità eccede (in positivo) la realtà. Questo sarebbe il livello più alto di stupidità: le 150 persone interpellate dai ricercatori hanno associato ai vanagloriosi un punteggio di stupidità compreso tra l’8,5 e il 10, cioè il massimo. Aczel ha commentato: «La cosa più sciocca che si possa fare è sovrastimarsi. Non bisogna avere un basso Q.I. per agire stupidamente. Basta avere una percezione falsata delle proprie possibilità». La sovrastima sarebbe alimentata, tra vari fattori, anche da un’eccessiva approvazione popolare (vedi le pop-star) e dall’abuso di sostanze stupefacenti.
Alla seconda categoria appartiene chi “perde il controllo”, di solito in seguito a periodi di prolugato stress emotivo. Queste persone agiscono in un certo modo, spiega Aczel, solo perché a un certo punto perdono la capacità di agire altrimenti. Il loro comportamento risulta «ossessivo, compulsivo o esagerato». L’esempio fatto dal professore è quello di un ragazzo che rinuncia ad uscire con gli amici per poter continuare a giocare ai video game, a casa.
Nel terzo gruppo, invece, rientrano coloro che hanno sempre la testa tra le nuvole e hanno difficoltà a concentrarsi su ciò che accade intorno a loro, sia perché sono abituate a ripetere sempre gli stessi gesti, sia perché ogni giorno devono fare fronte ad attività multi-tasking che parcellizzano la loro concentrazione. Sono le persone che hanno uno scarsissimo senso pratico. Di solito chi appartiene a questa categoria si comporta irrazionalmente perché non ha prestato sufficiente attenzione, oppure perché non si è accorto di dettagli importanti.
Nel complesso, dallo studio è emerso che le persone giudicano “stupidi” singoli comportamenti, piuttusto che le singole persone. Citando Forrest Gump, si potrebbe dire che è «stupido chi fa lo stupido». L’intelligenza, dunque, c’entra molto poco – di certo molto meno di alcuni elementi ambientali, come stress emotivo e lavorativo, situazione familiare e via dicendo.
Del resto, che l’intelligenza possa talvolta essere d’ostacolo è stato dimostrato da Daniel Kahneman, premio Nobel e professore di psicologia all’Università di Princeton. Usando domande di aritmetica, Kahneman ha scoperto che le persone con un Q.I. alto tendono a trovare con più difficoltà le risposte semplici. Il professore ha ipotizzato che gli individui intelligenti sono anche meno capaci di valutare se stessi, e questo li rende più vulnerabili. Quando devono analizzare un problema matematico, ad esempio, potrebbero pensare che sono meno soggetti a quel tipo di errori in cui incorrono i loro compagni e proprio questo li renderebbe più esposti al rischio di commetterli. La supposizione di Kahneman, dunque, rientrerebbe perfettamente nella prima categoria di stupidità individuata da Aczel. Potremmo dedurne, dunque, che i più intelligenti sono gli stessi che, in certe occasioni, agiscono più stupidamente degli altri.