Dal pianto alle urla, dall’impuntarsi al muso lungo: i capricci sono una realtà che la quasi totalità dei genitori si trova ad affrontare, spesso con difficoltà e frustrazione. Sì, perché nel momento in cui il bimbo mette in atto la ‘scena madre’, più o meno straziante a seconda dei casi, e dovuta a motivi futili (come il volere un gelato, l’aver spostato un suo giocattolo, il rifiuto ad indossare le scarpe e banalità simili) insorge nel genitore un senso di impotenza, di rabbia, di disagio, soprattutto se questi episodi avvengono in pubblico. Ci si trova spiazzati, spesso senza sapere cosa fare di fronte al rifiuto categorico del bambino, ai suoi strilli e pianti, e magari, ad aumentare la tensione, gli sguardi tra l’indignato e il compassionevole degli estranei che si trovano a passare.
Ma che cosa scaturisce nella testa del piccolo di tanto grave da mettere in atto una scenata per motivi così banali? Secondo il Dizionario di Psicologia di Umberto Galimberti, i capricci sono una “manifestazione improvvisa e incontrollata di rabbia e aggressività, generalmente impotente, adottata come risposta ad una frustrazione”. Attraverso questi moti irosi e tirannici, il piccolo sta esprimendo un disagio. Non dimentichiamo che i capricci si manifestano solo nell’ambito di una relazione e, come scrive il dottor Paolo Roccato, Psicoanalista associato alla Società Psicanalitica Italiana, sulla rivista pediatrica UPPA “non esiste nessun bambino che faccia un capriccio quando si trova da solo. Perché si strutturi un capriccio, è necessaria la compresenza del bambino e di un qualche adulto cui il bambino è e si sente affidato. I capricci, infatti, sono fenomeni relazionali. Nascono all`interno della relazione, si svolgono all`interno della relazione e mirano (sia pure malamente) a modificare qualche cosa di importante nella relazione.”
L’angoscia e la rabbia che il piccolo manifesta si devono quindi interpretare su due livelli: il primo, quello evidente, il casus belli che sembra essere diventata una questione vitale, ma ha di per sé poco valore reale, anche per il bimbo stesso; e il secondo, un livello più profondo, implicito, che ha a che vedere con la relazione. Molti esperti concordano nell’individuare in quella manifestazione di disagio una ricerca di conferme, di attenzione, una necessità di sentirsi considerati, una richiesta di rassicurazione sull’amore che si prova per lui. Può essere che il bimbo abbia bisogno di sentirsi più amato, magari in un momento in cui sta percependo un leggero distacco (mamma e papà che lavorano, l’arrivo di un fratellino, impegni degli adulti che distraggono i genitori da lui); può altresì darsi che il piccolo abbia bisogno di fermezza, che si senta insicuro rispetto al mondo in cui si muove e cerchi nei genitori un aiuto, delle regole, delle indicazioni; altra ragione ‘implicita’ al capriccio, può essere un tentativo di testare l’equilibrio del potere rispetto ai genitori; infine, un capriccio può essere sintomatico di una ricerca di autonomia, di essere riconosciuto come indipendente (naturalmente si tratta di gradi di autonomia ancora piccolissimi).
Insomma, il capriccio scenografico cela in realtà comunicazioni nascoste, ma come comportarsi? Scrive la dottoressa Anna Bisceglie, Psicologa e Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale sulla rivista ApproccioCognitivo: “Prima di tutto individuare il vero motivo del capriccio, lasciando da parte il motivo apparente che è superficiale, e agire in quella direzione. Molto spesso è utile lasciare che la rabbia del bambino passi, cercando di non aggiungere la propria rabbia alla sua”. Mantenere la calma è importante e, continua la dottoressa “Appena possibile è opportuno riprendere il discorso mettendo in primo piano la relazione: dire al bambino quello che si prova davanti al suo comportamento, facendo attenzione a biasimare il suo comportamento e non lui”.
Non cedere al ricatto è fondamentale: “Per i bambini che dominano totalmente la madre o l’intera famiglia, la vita non è molto divertente… C`è poco piacere reciproco e molta irritazione… Un bambino che vince con la prepotenza non trova mai niente di soddisfacente, perché non gli è dato spontaneamente. Non ci sono doni, ma solo estorsioni. Magari si sentirà potente, ma non apprezzato né amato”. Afferma Asha Phillips, in 'I no che aiutano a crescere'. Niente indecisione quindi o cedimenti, occorre fermezza nell’applicare le regole, ma anche mostrarsi disponibili all’ascolto e alla comprensione, cercando di focalizzarsi sul reale motivo del disagio piuttosto che sulle urla e le lacrime, che spesso per i piccoli sono l’unico modo di comunicare.
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