Luca di Montezemolo suona la tromba alla Ferrari («Sono orgoglioso di quanto è stato fatto fin qui. Ma l’orgoglio non basta: vogliamo vincere. Da tanti anni siamo abituati a situazioni come questa, per cui ce la giocheremo fino all’ultimo chilometro dell’ultimo giro. Sarà molto durama noi ci crediamo»), Fernando Alonso suona la storica campana del New York Stock Exchange (l’ha fatto ieri nel corso di un evento del Gruppo Santander per la raccolta di fondi a favore delle vittime dell’uragano Sandy), Sebastian Vettel teme adesso di finire… suonato.
Quale sarà la discriminante dell’ultimo atto del Mondiale, che dovrà stabilire chi la spunterà tra Sebastian e Fernando, due «bicampioni» che puntano a diventare «tricampioni»? La forza mentale, la solidità psicologica nel camminare—così ha twittato lo spagnolo, con metafora azzeccata — sul filo sottile che ora separa la vittoria dalla sconfitta. Materia più per strizzacervelli che per tecnici e ingegneri. Ma il valore tecnico non c’entra? Certo che c’entra. Ed è lo spauracchio numero uno della Rossa, perché ormai c’è una presa d’atto della superiorità della Red Bull. È anche per questo che Stefano Domenicali ha invitato il team a non puntare su modifiche e diavolerie: rischiano di succhiare energie a fronte di progressi quasi sicuramente non decisivi; meglio lavorare su quello che si ha e spremere il massimo. Realisticamente, il Cavallino nemmeno a San Paolo avrà una macchina per imporsi, a meno che non siano giuste le previsioni che danno pioggia per domenica: con le coperture da bagnato, la F2012 ha sempre offerto prestazioni ottime. Inoltre, non userebbe quelle con mescole dure (la Pirelli conferma l’accoppiata «hard» e «medium») che risultano indigeste, soprattutto in qualifica. Però giocare sul meteo appartiene all’aleatorio.
Pressare Vettel per aumentare le probabilità che sbagli, invece non lo è. Al contrario, è uno strumento di lotta e Fernando da qualche gara ha capito che è lì che deve insistere. Lo fa in varimodi, ostentando fiducia nel sorpasso in extremis, ridimensionando il ruolo del rivale (come quando dichiara di dover battere una macchina, più che un pilota), evocando anche il colpo di sfortuna (altrui). Nei panni di Vettel non saremmo tanto tranquilli. Tredici punti sono già meno dei quindici che nel 2010 doveva rimontare ad Abu Dhabi allo spagnolo (ci riuscì grazie al famoso errore della Ferrari nella lettura della gara) e in più sembra proprio che in questi casi scatti la cosiddetta maledizione del «basta che concluda al posto ics ed è campione». A Seb sarà sufficiente arrivare quarto, a prescindere dal risultato dello spagnolo. Lo stesso scenario che si presentava ad Hamilton nel 2007 (ma più intricato, essendoci pure Alonso nella volata vinta da Raikkonen) e a Fernando nel 2010. Non c’è il due senza il tre? Chissà. Intanto alla RB devono fare i conti con l’affidabilità dell’impianto elettrico, tant’è che la Renault, dopo il ritiro diWebber ad Austin, invierà a San Paolo un alternatore con nuove specifiche. Mark ha ben spiegato le preoccupazioni che attendono gli uomini in blu per una settimana intera, Vettel le ha ridimensionate. Ma ostentare sicurezza, a volte, non esclude inconfessabili e umanissimi timori. Se uscirà vittorioso da questa foresta piena di trappole, Sebastian sarà davvero un campione certificato.