Con la terapia cognitiva la psicoterapia moderna ha definitivamente abbandonato i bassifondi, i sotterranei, i dungeon e l’underground. Ormai la coscienza, e non più l’inconscio, è al centro del lavoro terapeutico moderno. Uno dei fondatori della terapia cognitiva moderna, Albert Ellis, non volle cercare, dietro lo specchio del pensiero, un’altra realtà, fatta di pulsioni primitive, come Freud, ma si attenne al dato di coscienza e in questo cercò la radice della sofferenza psichica.
Al contrario della psicoanalisi, che concepiva la sofferenza mentale come uno stato appreso in una condizione d’inconsapevolezza e di pensiero irriflesso e che suggeriva che questi stati inconsci fossero in grado – dal fondo oscuro della loro inconsapevolezza – di continuare a condizionare il comportamento e lo stato emotivo degli individui consapevoli di tutto meno che del perché essi soffrissero. L’individuo si riduceva a fantasma, zombie mosso da forze non coscienti. Ellis rovescia questa impostazione e sostiene che, invece, la sofferenza mentale non dipende da stati mentali inconsci, ma da elaborazioni verbali esplicite che il soggetto si auto-infligge non inconsapevolmente (semmai solo con un certo automatismo), dandone per scontati il valore di verità e la fondatezza razionale.
Questa uscita della psicoterapia dall’underground ovviamente ha tolto fascino alla disciplina, ma le ha donato rigore scientifico, accessibilità e luminosità. È bello aggirarsi nei bassifondi, ma poi è meglio tornare a casa e accoccolarsi davanti al caminetto. Salvo poi sentire un sinistro scricchiolio scendere dal solaio.
Fonagy P., Target, M. (2001). Attaccamento e funzione riflessiva. Cortina, Milano.
Bowlby, J. (1989). Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Cortina, Milano.
Ellis, A. (1989). Ragione ed emozione in psicoterapia. Astolabio, Roma.
Winnicott D.W. (1968), Sviluppo affettivo e ambiente, Armando, Roma.