A chi interessa la psicologia di Lara Croft?

Nel Natale del 1996 Tomb Raider cambiò la storia dei videogiochi. Ampi e complessi livelli di gioco, avanzate meccaniche da platforming, enigmi, congegni geniali e un personaggio iconico destarono le attenzioni dei videogiocatori. Lara Croft era un personaggio semplice, costruito soprattutto intorno alla sua avvenenza, ma probabilmente era il primo personaggio femminile del mondo dei videogiochi in grado di assurgere a icona.

Lara era, però, vuota, irrealistica. Solo un ammasso di poligoni che andava in giro per i livelli di gioco: non aveva, sostanzialmente, neanche un volto, visto che quest'ultimo si componeva di qualche linea e texture estremamente stilizzate. Di Motion Capture, ancora, non c'era neanche l'ombra. Gli sviluppatori si concentravano invece sul gameplay, sugli enigmi, sui modi per mettere il giocatore in difficoltà. Quei Tomb Raider, era questo il risultato, erano terribilmente difficili per il giocatore medio.

Difficili sia per gli enigmi e per i congegni da sbloccare, difficili perché per ogni boss (chi potrà mai dimenticare quell'enorme T-Rex del primo Tomb Raider?) andava affrontato in maniera diversa, e difficili perché il sistema di controllo era perlomeno approssimativo. Il numero di animazioni di quella Lara è risibile rispetto a quelle di un qualsiasi action in terza persona moderno. Se si rigiocano i vecchi Tomb Raider oggi si sente subito la mancanza di un qualcosa tra l'input e la reazione del personaggio su schermo: insomma c'era una reattività diversa, al punto che quei Tomb Raider, per la maggior parte dei giocatori di oggi, sono al limite dell'ingiocabile.

Certo tutto questo rendeva le cose particolarmente difficili: bisognava ponderare i salti al centimetro, trovare le strade giuste e più abbordabili per proseguire e fare i conti con la latenza di Lara a reagire al controllo. La Venezia di Tomb Raider 2 è un altro lampante esempio di quanto potesse essere ostico quel sistema di controllo che, per altri versi, ha comunque segnato un'epoca.

Come abbiamo visto nella preview di Tomb Raider, quello che uscirà il 5 marzo 2013, tutto questo è andato quasi completamente perduto. Lo sviluppatore, adesso Crystal Dynamics allora Core Design, non intende più puntare sulla sfida, ma vuole creare una sorta di incrocio tra film e videogioco tutto imperniato sulla nuova personalità di Lara Croft. Ne abbiamo già parlato: il personaggio protagonista non è più vuoto, non ha più uno sguardo che non trasmette emozioni, anzi è realistico, ha una psicologia.

Il nuovo Tomb Raider è pensato per trasmettere al giocatore le emozioni di Lara Croft man mano che prosegue la sua avventura, che è molto più varia rispetto a quei Tomb Raider del passato principalmente perché è pre-determinata dagli sviluppatori. Certo qualche punto (perlomeno della parte che abbiamo avuto di provare finora) ricorda gli elementi ostici del passato, ma si tratta più che altro di citazioni. In alcuni passaggi bisogna effettivamente interpretare il livello di gioco, ma il tutto è estremamente elementare.

Lara Croft diventa un personaggio di spessore: è sostanzialmente una ragazza sempre determinata a risolvere il mistero, e in questo possiamo dire che ricorda la "vuota" Lara Croft. Ma è una ragazza che, ancora alle prime armi, soffre moltissimo: da una parte vuole ossessivamente proseguire, non si arrende, dall'altra è una ragazza normale, con i suoi limiti e le sue debolezze. Da questo punto di vista il nuovo Tomb Raider è un videogioco molto più maturo rispetto a quelli del passato.

In ogni momento del nuovo Tomb Raider il giocatore segue la sofferenza suprema a cui è sottoposta la nuova Lara Croft. Il gioco deve andare avanti, lo spettacolo per chi interagisce non può avere termine, ma è un'avventura che prosegue tra mille difficoltà, mentre una ragazza normale cerca di diventare il mito, la "tomb raider" che i giocatori conoscono. Irraggiungibile, per certi versi, perfetta per altri perché senza sentimenti.

Ne abbiamo parlato tante volte: anche Tomb Raider segue il percorso ormai abituale dei videogiochi di oggi, ovvero sempre meno competizione e sempre più profondità nei contenuti. Per i vecchi Tomb Raider non c'era uno studio sul personaggio, se non sulle sue curve, mentre adesso si guarda anche alla psicologia e si cerca di fare in modo che la storia si amalgami bene con questo studio emozionale sullo stesso personaggio.

I videogiochi intesi come sfida e i videogiochi intesi come emozioni sono due media sostanzialmente diversi, al punto da potersi considerare come prodotti facenti parte di settori distinti. La competizione nei videogiochi, così come in tutte le aree, viene regolata da una parte del cervello diversa rispetto a quella che gestisce le emozioni: si tratta, insomma, di esperienze diverse, che l'utente si accolla per perseguire due tipi di piacere che non sono correlati. Gli sviluppatori del Tomb Raider di oggi, in definitiva, si rivolgono a un pubblico diverso rispetto a quello del passato.

L'intromissione della componente cinematografica, e il ruolo quasi predominante che si sono ritagliate le sequenze di intermezzo, oltretutto portano a una netta dicotomia tra quello che è il personaggio nelle fasi di narrazione e il personaggio del gameplay vero e proprio. Questo ragionamento riguarda anche Tomb Raider, ma voglio prendere ad esempio piuttosto i giochi della serie Uncharted, perché tale dicotomia in questo caso è esaltata ai massimi livelli. In Uncharted, che come noto condivide diverse caratteristiche con Tomb Raider, nelle sequenze di narrazione Nathan Drake è una persona posata, è un ragionatore portato molto spesso a fermarsi, guardarsi indietro, analizzare gli indizi, formulare complessi percorsi di indagine storica.

Ma, una volta terminata la sequenza di narrazione, ecco che Drake si trasforma improvvisamente e illogicamente in una spietata macchina da morte. Impugna il suo fucile e inizia a sterminare eserciti di soldati. A parte che nessuna potenza occulta potrebbe schierare un esercito di soldati solamente per ricercare qualche tesoro del passato sparso per il mondo, il profilo psicologico di Drake nella parte della narrazione e quello della parte videoludica non coincidono. Il giocatore che sta attento a questi dettagli, insomma, si ritrova con due personaggi diversi, che non hanno tra di loro nessun punto di contatto se non dal punto di vista estetico. Trovare gli equilibri nel momento in cui il media videoludico sta compiendo un evidente passaggio verso il mondo della cinematografia non è facile, e probabilmente a oggi nessun autore di videogiochi è riuscito nell'impresa.

Certo, come capita sempre più spesso nel mondo dei videogiochi, chi non apprezza questo passaggio si farà sentire a gran voce e pretenderà un certo livello di difficoltà anche nei giochi nuovi. Ma chi ha apprezzato Heavy Rain difficilmente non potrà non essere affascinato da questa nuova mistura proposta da Tomb Raider, dove la storia e la psicologia si mischiano all'interazione, seppure limitata, concessa al giocatore.

Insomma, se la ricerca della profondità psicologica dei personaggi porta a una cinematograficità di maggiore qualità all'interno del videogioco, se finalmente si può assistere a delle storie effettivamente coinvolgenti e se finalmente ogni momento del gioco è pregno di significato, allora posso dire che "sì, a me interessa la psicologia di Lara Croft!"

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