Si propone come una “resa dei conti con quella misteriosa presenza, quella regio ignota che ci guida”, il nuovissimo libro di Mauro Maldonato, psichiatra e professore di psicologia generale all’Università della Basilicata, che intende rispondere a una domanda fondamentale: “Quando decidiamo siamo attori consapevoli o macchine biologiche?” (Giunti, 2015).
Della capacità di Maldonato di affrontare argomenti complessi e delicati in maniera pregnante, ben documentata ma mai eccessiva, con un approccio squisitamente critico ma sempre impeccabilmente elegante, per niente interessato alle mode passeggere ma a cogliere i nodi di svincolo essenziali dello sviluppo della scienza umana e del pensiero – tratti che testimoniano anni di studio serio e di ricerca sistematica, ma anche una buona dote di esperienza clinica “sul campo” e personale, cosa non da poco nel panorama attuale – non avevamo dubbi, avendo seguito da vicino il percorso dei precedenti lavori, fra i quali ricordiamo “La mente plurale” (Roma, 2006), “Psicologia della decisione” (Bruno Mondadori, 2010), “L’arcipelago della coscienza” (Giunti, 2012).
Si apprezza sempre molto, poi, il fatto di potersi confrontare con il pensiero organico di un solo Autore e non con i collage a più mani, giustapposti per esigenze diverse dal sapere, ai quali siamo fin troppo abituati e di cui è davvero difficile anche solo individuare l’idea che muove il tutto. Grazie al maggiore impegno dell’Autore “in solitaria”, il lettore ha il privilegio di potersi affiancare quanto basta, come si faceva un tempo, con pazienza, per “rispecchiarsi” nelle riflessioni, sincronizzando il ritmo interiore con quello dell’evoluzione di un pensiero vivo, pensiero “in atto” come direbbe il Gentile, cogliendo finanche le più nascoste sfumature, opera dopo opera, in una liricità corale capace di stimolare a dovere non solo le corde dell’intelletto ma anche della ragione in senso pieno e profondo, di quella parte “irriducibile”, autenticamente umana…
Nel suo nuovo libro, per definire l’ambito di indagine lo studioso napoletano volutamente non usa il termine inconscio, convinto dell’esistenza di “un campo di forze più vasto dell’orizzonte in cui Sigmund Freud intravide istinti, desideri e pulsioni, di un universo di forze arcaiche all’origine di azioni, automatismi, motivazioni, irriducibile al termine inconscio”. Certo, quelle del neurologo viennese furono ottime intuizioni, nel contesto di una “impresa intellettuale gigantesca”, ma non possono esaurire le prospettive, i “territori oltre l’inconscio e la coscienza” che Maldonato invita a esplorare in modo nuovo, “per gettar luce nelle istanze profonde su cui poggia la scena illuminata su cui crediamo si svolga la nostra vita”.
Ma in che modo ci è possibile affrontare questo “viaggio lungo l’arcipelago delle isole, dai bordi frastagliati e mutevoli, che chiamiamo azione umana”? A dispetto della “troppa credulità verso il potere palingenetico della scienza, una credulità superiore perfino a quella del contadino medioevale verso il proprio parroco”, tanto che in alcuni ambienti – non ultime le aule dei Tribunali – “si creda alle neuroimmagini più di quanto non facciano i neuroscienziati”, le neuroscienze in verità offrono metodiche ancora approssimative, illudendo (e illudendosi) di poter cogliere aspetti della vita reale attraverso registrazioni prese da “individui costretti in posizione supina in un tubo per scansione”, ad esempio.
Allora avanti, oltre, ben oltre “Galileo”: lui stesso ci avrebbe esortati a non restargli religiosamente fedeli, anzi a “imparare di più, se c’è altro da imparare”. Ma prima di incamminarci nel viaggio di esplorazione è opportuno “demarcare più rigorosamente questo fondamentale oggetto di ricerca (la coscienza – NdR), dopo una secolare confusione terminologica”, iniziando col distinguere la “mente” dalla “consapevolezza”, perché gran parte della vita della mente si svolge al di fuori della consapevolezza, la quale ultima “si rifrange sulla mente come un’onda di superficie, senza influenzarne le correnti di fondo”.
“La mente è il corpo”, dice poco oltre Maldonato, quasi accelerando il passo – lui stesso mosso da quello spirito di “ricerca critica persistente e inquieta della verità” che fa l’uomo autentico di scienza –, quel corpo che “resta un testo da decifrare, a dispetto delle fascinazioni tecnoscientifiche e di una realtà virtuale che ingloba i nostri sensi”. E, sia bene inteso, “le attività del corpo non coincidono con i soli bisogni materiali”. Va compiuta dunque “un’operazione inedita, fuori da un modello di razionalità che si rispecchia interamente nella logica”: pensieri, emozioni, concetti, sentimenti, non stanno l’uno accanto all’altro, ma “l’uno compenetrato nell’altro”.
Il cervello umano è infatti un “sistema aperto che fluttua entro dinamiche distanti dall’equilibrio”, un sistema a crescente instabilità che genera nuove strutture d’ordine. E la decisione umana non può che “emergere nell’incognito”, da “processi che sfidano il pensiero”, dove è proprio l’incertezza a farla da padrone. Allora l’origine della decisione è per lo più inconsapevole: la consapevolezza infatti “se ne fa carico solo in seguito e parzialmente”. Ma da qui a dire che la persona non è responsabile delle proprie azioni ne passa di acqua e così dovrebbe essere (come a volte invece purtroppo non è, specialmente nel nostro Paese) anche in ambito giudiziario: “un individuo al quale siano state rilevate tramite scansione anomalie cerebrali non è per questo incapace di responsabilità”, sottolinea Maldonato ribadendo, “una volta per tutte, che la responsabilità non ha una sua corrispondente area cerebrale”.
Dunque, siamo macchine biologiche o “attori” consapevoli? Forse entrambe le cose, o nessuna delle due per come sinora le abbiamo intese; ma, a questo punto, lasciamo al lettore il piacere di farsi la propria idea fra le ipotesi emergenti in questo libro prezioso, che l’Autore si augura diventino “tracce per altre esplorazioni”, stante il fatto che le nostre conoscenze attuali “sono solo parziali”, invitandoci a “osare di più”.
Marco Mozzoni
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